giovedì 27 ottobre 2011

Abstract del dossier sulla fenomenologia del bracconaggio ittico industrializzato presente nell’areale padano e rotte commerciali dei prodotti illeciti della pesca.
omissis
Premessa
Da anni oramai il fiume Po è teatro di crimini condotti ai danni dell’ambiente ma uno in particolare mina direttamente la salute pubblica: la pesca, il traffico ed il commercio clandestino di pesce contaminato.
Nonostante anni di informazione pubblica tesa ad smascherare il movimento d’affari e segnalazioni alle autorità competenti, un sodalizio di più organizzazioni dell’Est Europeo e della Germania, gestisce un florido mercato clandestino basato sulla cattura e la vendita di pesce non idoneo all’alimentazione umana, merce che dopo essere lavorata sul posto viene riproposta sui mercati italiani ed esteri come “pesce d’allevamento”. Ciò è possibile grazie alle decine di “campi” clandestini dislocati sul maggior fiume italiano ed alla complicità di imprenditori rivieraschi che coprono le azioni illecite tramite le loro aziende.
Oltre quindi all’ovvio danno ambientale che scaturisce da un’attività di pesca incontrollata si somma il rischio sanitario connesso alla commercializzazione di questi prodotti, l’evasione fiscale e l’ordine pubblico avendo queste bande lottizzato abusivamente intere aree del delta del Po.

cronistoria, ubicazione, rotte di mercato

Dal 1993 ad oggi sono attive sull’areale del fiume Po organizzazioni criminali provenienti dall’Est Europeo specializzate nella pesca di frodo e nella vendita di pesce contaminato sia in Europa che in Italia, a queste si aggiungono attività commerciali abusive denominate Wallercamp che, sfruttando l’eco del pesca-turismo, ottengono il massimo rendimento dalle risorse ittiche locali evadendo il fisco e appropriandosi illecitamente di intere porzioni dell’asta fluviale.
Pur essendo salita all’attenzione della cronaca con una serie di arresti, denunce e sequestri operati dalla Guardia di Finanza tra l’estate del 2006 e 2007, i gruppi d’interesse sono ancora attivi ed hanno addirittura potenziato le attività di traffici illeciti. Il “modus” con cui si articola la loro attività si concentra essenzialmente nel pescare pesce con sistemi illegali sull’areale del fiume Po, ed in particolare in aree in cui non viene svolta la pesca professionale a causa delle pessime condizioni organolettiche dell’acqua, siti ove il materiale ittico alla luce dei rapporti analitici (Legambiente, ARTA) non può essere destinato all’alimentazione umana. Viene lavorato in strutture di fortuna direttamente sul fiume in condizioni igieniche repellenti, quindi imbustato, refrigerato e trasportato in Ungheria dove, grazie a una falsa documentazione, viene riproposto sui mercati locali, francesi, tedeschi e italiani come pesce proveniente dagli allevamenti Ungheresi. La strutturazione del personale attivo nell’organizzazione appare di tipo verticistico-piramidale e conta di diversi “sotto gruppi” impiegati per il trasporto del materiale ittico o della lavorazione.
L’organizzazione dispone sia di strutture fisse sul fiume come case che mobili come roulotte, tende e camper, oltre a una nutrita flotta fluviale (censita nell’estate 2005 pari a 70 natanti nel 2011 è verosimilmente raddoppiata) e di furgoni.
In particolare l’organizzazione incentra gli sforzi su una specie ittica specifica: il Siluro (Silurus glanis, Linneo) in quanto la normativa attuale, in controtendenza con le mutazioni faunistiche degli areali, tollera il prelievo indiscriminato e senza limiti di pesci alloctoni.
Tutta l’intera trafila produttiva (pesca, stoccaggio, lavorazione, trasporto e vendita) pur risultando clandestina e palesemente illecita ha trovato quindi forza in un buco normativo generato dalle Delibere Regionali (Emilia Romagna, Veneto e Lombardia in primis) in materia di “alloctonia” che in sintesi mirano ad eradicare le specie ittiche non originarie delle nostre acque: queste favorendo la pesca indiscriminata di queste specie tollerano il prelievo di enormi quantità di pesce che, essendo stato pescato con “licenze di pesca di tipo D per stranieri” non va a ricadere nei controlli igienico sanitari previsti dalla legge per la pesca professionale, in quanto, paradossalmente, trattandosi di alloctoni ed essendo stato pescato con la titolarità di una licenza per uso sportivo, rientra nell’auto consumo.
Come è ovvio l’organizzazione si avvale della complicità di imprenditori e consorzi italiani per la messa in opera di tale traffico: da chi fornisce l’appoggio logistico a chi attraverso circoli nautici si occupa del rimessaggio e cura della flotta, fino a chi acquista il pescato da inviare ai mercati ittici o alle strutture di ristorazione nazionali.
Tenendo conto dei reati di frode in commercio ed i rischi per la salute pubblica che scaturiscono dalle attività descritte, all’ingente danno ambientale operato, oltre ai percorsi in territorio comunitario dei prodotti, valutato il potenziale rischio sociale e i reati emersi, si rende quanto mai necessario oggi esercitare un azione preventiva e, ove vengono perpetrati, repressiva attraverso gli organi di vigilanza.
La forza di ogni attività illecita risiede nella sua “invisibilità”: far emergere il fenomeno delittuoso attraverso una campagna informativa, rendere edotto il consumatore sui rischi sanitari connessi con l’alimentazione di pesce di dubbia provenienza, informare sui danni arrecati all’ittiofauna ed all’intera biocenosi attraverso l’uso di sistemi propri del bracconaggio fluviale, formare il personale dedito alla vigilanza su che tipologia di reati configura l’attività descritta e quali strumenti normativi approfondire per arginare il fenomeno, sono la base di partenza di un attività preventiva.
A ciò sarebbe necessario un coinvolgimento di tutte le forze dell’ordine competenti per territorio e materia giuridica, per un intensa attività di presidio delle zone ecologicamente più a rischio e delle “aree storiche” di insediamento stanziale di questi gruppi illegali.
Esistono presidi fissi sul territorio sia di bracconieri (case, accampamenti, circoli nautici) che di Wallercamp (agriturismi, campeggi) che potrebbero essere sottoposti ad attività di controllo in modo esaustivo e riconducibile alla normale attività di servizio del controllo del territorio, cosa che, se ben coordinata, non andrebbe ad incidere come attività di servizio straordinaria.
La sinergia con i pescatori sportivi, i fruitori abituali di dette aree, porterebbe inevitabilmente ad una rapida e puntuale individuazione di questi siti, rafforzando inoltre quel rapporto di prossimità e di legalità che impedirebbe il ripetersi delle stesse attività delittuose.
Le aree di azione, intervento e sosta di questi soggetti si articolano tra la Lombardia, il Veneto e l’Emilia Romagna.
Analisi normativa
Valutato che molti di questi gruppi d’azione sono totalmente abusivi, quindi operano al di fuori dei canoni di legge bisogna tenere conto che i principali autori esportano tali prodotti della pesca sotto forma di impresa agricola o con licenze di pesca professionale, destinando sia in Ungheria che in Italia: a tal fine, considerata la natura commerciale e sanitaria della transizione è necessario soffermarsi sull’impianto normativo che regolamenta queste vendite.
Il controllo ufficiale degli alimenti e delle bevande è garantito nei comuni italiani dal Servizio di igiene degli alimenti e della nutrizione e, nel caso si tratti di alimenti di origine animale (latte, uova, carne, pesce) dal Servizio veterinario dell’ASL: entrambi i Servizi operano nell’ambito del Dipartimento di Prevenzione.
In particolare Il Servizio degli alimenti e nutrizione (SIAN) si occupa di:
·       ricezione di reclami o segnalazioni di privati o enti per violazione delle norme igienico sanitarie nel campo annonario;
·       controllo ufficiale dei prodotti alimentari e dei requisiti strutturali e funzionali dei laboratori ed esercizi di produzione, confezionamento, vendita e somministrazione di sostanze alimentari e bevande compresa ristorazione collettiva (mense aziendali, scolastiche, ospedaliere e socio-assistenziali, centri di cottura);
·       dichiarazione di inizio attività (D.I.A. introdotta nel 2006 con Reg. CE 852/04);
·       pareri preventivi verifica pratiche ed informazione ad utenza professionale ed associazioni di categoria;
·       certificazioni per l’esportazione di alimenti di origine non animale;
·       vigilanza e controllo delle acque destinate al consumo umano (acque potabili);
·       sicurezza alimentare;
·       sorveglianza ed indagine per gli aspetti di competenza in occasione di casi sospetti o accertati di infezioni, intossicazioni e tossinfezioni di origine alimentare;
·       prevenzione delle intossicazioni da funghi:
o   attività di consulenza, controllo e formazione proprie dell’ispettorato micologico
o   verifica di commestibilità di funghi freschi di privati raccoglitori
·       controllo dell’utilizzo e vendita di prodotti fitosanitari;
·       prevenzione e sorveglianza dell’obesità, attraverso:
o   dietetica preventiva
o   sorveglianza nutrizionale
o   educazione alimentare
o   ristorazione collettiva
I regolamenti di igiene approvati nel 2006 denotano un’importante semplificazione che tiene conto dei regolamenti comunitari sull'igiene degli alimenti entrati in vigore il primo gennaio 2006. Tenuto conto che nelle norme comunitarie, si evidenzia che è responsabilità dell’impresa, garantire la sicurezza degli alimenti attraverso tale principio il regolamento CE 852/2004 ha modificato le procedure da seguire per la gestione delle attività alimentari, l'apertura di nuovi esercizi nonché le modifiche quali variazioni di compagine sociale, variazioni strutturali e di attività, subingressi, trasferimenti e cessazioni. La norma ha così voluto inserire queste nuove regole, individuando ad esempio la DIA (dichiarazione di inizio attività) come procedura da seguire per aprire un’attività nel settore degli alimenti (compresi pubblici esercizi e ristoranti). A fronte di questa semplificazione burocratica, si nota un’ intensificazione dei controlli da parte delle ASL sgravate dall’attività legata alla consulenza amministrativa, finalizzati al rispetto della normativa in materia di igiene degli alimenti e la sicurezza del consumatore.
In concerto con le ASL vengono coinvolti tutti gli organi di vigilanza specifica e di riflesso Agenti ed Ufficiali di Polizia Giudiziaria che compiono servizi a tutela del consumatore: tra questi i NAS dei Carabinieri.
I N.A.S., Nuclei Antisofisticazioni e Sanità dell'Arma, sono stati istituiti il 15 ottobre 1962. Le funzioni del Comando tutela per la Salute sono poliedrici riguardando:
  • il controllo degli alimenti di qualunque tipologia essi siano;
  • il controllo sull'igiene, sanità pubblica e polizia veterinaria;
  • la sanità marittima, aerea e di frontiera;
  • la profilassi internazionale delle malattie infettive e diffusive.

Conseguenze derivanti dalla non conformita' del prodotto alle norme di legge

Oltre alle sanzioni specificatamente previste dal Decreto Legislativo 155/97, che riguardano la violazione degli obblighi di autocontrollo, vanno sempre tenute presenti le possibili sanzioni relative alla non conformità del prodotto alle norme di legge, che peraltro possono derivare da una non esatta applicazione delle misure di prevenzione e controllo previste dal sopracitato decreto legislativo. La normativa alimentare prevede sia illeciti penali che amministrativi. In particolare:

illeciti penali
All'interno delle previsioni penalistiche bisogna distinguere tra:

Violazioni di norme poste a tutela della salute pubblica
In questa categoria si ricomprendono tutte quelle violazioni che possono costituire un pericolo per la salute del consumatore. In tale categoria vanno segnalati:

art. 5 lex 283/62 che punisce con l'arresto fino ad un anno e l'ammenda da € 600.000 a € 60.000.000 (art. 6/4 l. 283/62) il divieto di mettere in commercio:

(lett. a)       alimenti privati anche in parte dei propri elementi nutritivi o mescolati con sostanze di qualità inferiore o comunque trattate in modo da variarne la composizione naturale

(lett. b)      in cattivo stato di conservazione

(lett. c)       con cariche microbiche superiori ai limiti stabiliti dal regolamento di esecuzione o da ordinanze ministeriali (cfr. OM 11 ottobre 1978)

(lett. d)      insudiciate, invase da parassiti, in stato di alterazione o comunque nocive, ovvero sottoposte a lavorazioni o trattamenti diretti a mascherare un preesistente stato di alterazione

(lett. g)       con aggiunta di additivi chimici di qualsiasi natura non autorizzati con decreto del Ministero per la Sanità, o, nel caso che siano stati autorizzati, senza l'osservanza delle norme prescritte per il loro impiego.


art. 444 c.p., che punisce con la reclusione da 6 mesi a 3 anni e la multa non inferiore a lire 100.000 chiunque metta in commercio sostanze non contraffatte, né adulterate, ma comunque pericolose per la salute pubblica.

Violazioni di norme a tutela della buona fede del consumatore
In tale categoria rientrano tutte le violazioni che ledono la buona fede del consumatore o comunque la lealtà delle trattazioni commerciali. In particolare vanno ricompresi:
·       art. 515 c.p. "Frode in commercio", che prevede la pena della reclusione fino a 3 anni o la multa non inferiore a lire 200.000, nell'ipotesi di vendita di una cosa mobile (alimenti) per un'altra o di una cosa mobile per origine, provenienza, quantità e qualità diversa da quella dichiarata o pattuita.
·       art. 516 "Vendita di sostanze non genuine come genuine", che vieta la vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine, sanzionando i contravventori con la reclusione fino a 6 mesi o la multa fino a lire 2.000.000.
·       art. 13 l. 283/62, che punisce con l'ammenda da lire 600.000 a lire 15.000.000 l'offerta in vendita o propaganda di sostanze alimentari, adottando denominazioni o nomi impropri, frasi pubblicitarie, marchi o attestati di qualità o genuinità, da chiunque rilasciati, nonché disegni illustrativi tali da sorprendere la buona fede o da indurre in errore gli acquirenti.
N.B. A decorrere dal 1° gennaio 2002 ogni sanzione penale o amministrativa espressa in lire è tradotta in € al tasso di conversione di 1936,27, con l'eliminazione dei decimali in caso di arrotondamento anche se le operazioni di conversione producono un risultato espresso in centesimi di euro

Va rilevato che nella giurisprudenza in materia di alimenti si registra una mancanza di uniformità nella qualificazione delle condotte criminose. Non è infatti raro che lo stesso fatto sia ascritto nell'ambito di fattispecie penali anche notevolmente diverse tra loro con conseguente rischio di una disparità di trattamento sanzionatorio.

Illeciti amministrativi
All'interno delle sanzioni amministrative sono ricomprese in particolare:
le violazioni delle norme previste da Decreto Legislativo 27 gennaio 1992 n. 109 in materia di etichettatura. In particolare:

·       art. 18/1 che prevede la sanzione amministrativa pecuniaria da lire 3000000 a lire 18000000 per "chiunque confezioni, detenga per vendere o venda prodotti alimentari non conformi" alle norme del decreto stesso ossia non contenenti le indicazioni prescritte.
·       art. 18/2 che stabilisce la sanzione amministrativa da lire 6.000.000 a lire 36.000.000 nel caso di violazione dell'art. 2 del Decreto Legislativo 109/92 che stabilisce che "l'etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari non devono indurre in errore gli acquirenti sulle caratteristiche del prodotto e precisamente sulla natura, sulla identità, sulla qualità, sulla composizione, sulla durabilità, sul luogo di origine o provenienza, sul modo di ottenimento o di fabbricazione del prodotto stesso";
N.B. A decorrere dal 1° gennaio 2002 ogni sanzione penale o amministrativa espressa in lire è tradotta in € al tasso di conversione di 1936,27, con l'eliminazione dei decimali in caso di arrotondamento anche se le operazioni di conversione producono un risultato espresso in centesimi di euro

Analisi normativa speciale
Le abrogazioni e la rimodulazione generata dal D.Lgs. 193.2007 Controlli in materia di sicurezza alimentare, di fatto non incide sulla ristorazione e sulla vendita di prodotti della pesca (eccezion fatta per i molluschi) così come il Decreto Legislativo 30 dicembre 1992, n. 531."attuazione della Direttiva 91/493/CEE” che stabilisce le norme sanitarie applicabili alla produzione e commercializzazione dei prodotti della pesca, non si applica alla vendita intesa come ristorazione.
Detta osservazione è importante perché riduttiva del settore di vigilanza dedicato, in quanto il pesce, che per la sua natura biologico/organica ha tempi di accumulo di inquinanti rapidi ed è spesso di difficile tracciabilità, viene gestito nei controlli alla ristorazione attraverso il dettato normativo esclusivo della conservazione degli alimenti.
In termini pratici l’addetto al controllo ordinario, senza ulteriori note si limita al controllo dello stato di conservazione e quindi non alla tracciabilità (legittima provenienza) del prodotto ittico.
D.Lgs. 26 maggio 1997 n. 155 Attuazione delle direttive 93/43/CEE e 96/3/CE concernenti l'igiene dei prodotti alimentari, pubblicato sul S.O. alla Gazzetta Ufficiale n. 136 del 13 giugno 1997, Capitolo IX disposizioni applicabili ai prodotti alimentari
descrive che “Un'impresa alimentare non deve accettare materie prime o ingredienti se risultano contaminati, o si può logicamente presumere che siano contaminati da parassiti, microorganismi, patogeni o tossici, decomposti o sostanze estranee che, anche dopo le normali operazioni di cernita o le procedure preliminari o di trattamento eseguite in maniera igienica, non siano adatte al consumo umano”.
In quest’ottica un ristoratore che accetta, in quanto acquista, prodotti ittici provenienti da privati, da siti inquinati o potenzialmente inquinati, o semplicemente privi di qualsiasi garanzia sanitaria o di tracciabilità, di fatto contravviene a questo principio basilare.
Se poi la consapevolezza circa la provenienza, nonché la mancata salubrità del prodotto pur essendo manifesta, viene inserita dopo l’acquisto, volontariamente nel circuito della ristorazione, si sfocia nei reati puniti a norma del Codice Penale quali l’art. art. 515 c.p. "Frode in commercio" e art. 516 "Vendita di sostanze non genuine come genuine". Il D.Lgs. 30 dicembre 1992 n. 531 “Attuazione della direttiva 91/493/CEE che stabilisce le norme sanitarie applicabili alla produzione e commercializzazione dei prodotti della pesca”, pubblicato sul S. O. alla Gazzetta Ufficiale n. 7 dell’ 11 gennaio 1993 descrive all’art 2 lettera A i prodotti della pesca come: “tutti gli animali marini o di acqua dolce o parti di essi, comprese le loro uova e lattine, esclusi i mammiferi acquatici, le rane e gli animali acquatici oggetto di altre norme relative alla protezione delle specie ed alla politica comune della pesca e dei mercati”.
Detta norma individua compiutamente che, anche le specie ittiche fluviali (acqua dolce) prelevate nel Arno, rientrano nel campo di applicazione della norma, rendendole soggette alle prescrizioni sanitarie e di tracciabilità, nonché fiscali e gestionali dei prodotti primari della pesca, quindi assoggettate, in quanto transazione commerciale tra il privato pescatore dilettante ed il ristoratore, agli standard applicabili alla produzione e commercializzazione dei prodotti della pesca. Attraverso l’analisi del testo tuttavia si evince alla lettera P dell’art 2 che per commercializzazione si intende: ”la determinazione o l’esposizione per la vendita, la messa in vendita, la vendita, la consegna o qualsiasi altra forma di immissione sul mercato ad esclusione della vendita al dettaglio e della cessione diretta, sul mercato locale, di piccole quantità da un pescatore al venditore al minuto o al consumatore” resta quindi da comprendere se la cessione di un privato ad un ristoratore che poi reimmette in vendita tali prodotti si interpreti come esclusione dal regime della pesca (e quindi sulle norme sanitarie del pescato) e solo come frode in commercio (nella sola successiva fase di cessione da parte del ristoratore) o se entrambe le norme vengono applicate.
Essendo di fatto il caso anomalo sotto il profilo giurisprudenziale, in quanto non si hanno precedenti che investano contemporaneamente i seguenti elementi:
- pesce d’acqua dolce di siti inquinati o potenzialmente inquinati;
- pesca e vendita da parte di privati;
- acquisto da parte di ristoratore che immette tali prodotti nella filiera commerciale;
sarebbe di fatto necessaria una valutazione intesa come sentenza.
Quadro normativo di riferimento
D.lgs. 06/11/2007 n.193 (Attuazione della direttiva 2004/41/Ce relativa ai controlli in materia di sicurezza alimentare e applicazione dei Regolamenti comunitari nel medesimo settore);
circ. 27/05/2002 n. 21329 del Mipaf (reg. n. 2065/2001 della Commissione del 22 ottobre 2001, recante modalità di applicazione del reg. Ce n. 104/2000, relativamente all’informazione ai consumatori nel settore dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura;
d.m. 27/03/2002 (Etichettatura dei prodotti ittici e sistema di controllo).

Nell’aprile del 2002 è entrato in vigore il d.m. 27/03/2002, che fissa i criteri attuativi per il regolamento (Ce) 2065/2001 sull’etichettatura dei prodotti ittici. Questo provvedimento prevede, per tutti i prodotti ittici in commercio, una specifica etichetta, che deve riportare le seguenti informazioni:
•denominazione commerciale della specie;
•denominazione scientifica della specie (facoltativa);
•metodo di produzione, come la cattura in mare o in acque interne, oppure l’allevamento;
•zona di cattura.

Il decreto sull’etichettatura dei prodotti ittici si applica a pesci, crostacei e molluschi, che siano vivi, freschi, refrigerati, congelati, surgelati, decapitati, sgusciati, tagliati in pezzi o in filetti oppure triturati, secchi, salati, in salamoia, affumicati, anche preventivamente precotti, in polvere, in farina o in pellets, purché atti all’alimentazione umana. Gli operatori della filiera, quindi, sono tenuti ad assicurare la tracciabilità del prodotto ittico, mentre il ruolo delle autorità nazionali di tutti gli Stati membri è quello di controllare che ad ogni passaggio della commercializzazione le informazioni relative alla denominazione commerciale, al metodo di produzione e alla zona di cattura siano disponibili.
A ciò si aggiunga che molte di queste specie sono rappresentate da predatori, ed in particolare il Siluro (il maggiore oggetto di pesca e vendita dei pescatori ungheresi in Italia) quindi da entità biologiche al vertice della catena trofica, elemento che implica un potenziale carico contaminante se prelevati in ambienti non salubri: la tracciabilità quindi diventa un aspetto fondamentale per il consumatore proprio per comprendere la provenienza di ciò che acquista, ed eludere tale aspetto consente di commercializzare prodotti di dubbia provenienza.

Ciò premesso diversi adesori al progetto hanno presentato al Getapesca una serie di segnalazioni convergenti verso presunte illegalità commesse nell’ambito della vendita al dettaglio di pesce proveniente dalle acque interne e presumibilmente pescato, come da etichettatura e per l’assenza di allevamenti specifici delle specie oggetto della vendita.
In particolare si riferisce di vendita di materiale ittico prelevato da attività di pesca professionale quali Siluri, Amur, Carpe, Lucioperca, Aspio, e Breme.
Pertanto, avendo avuto notizia di una possibile criticità legale e sanitaria avente fulcro nel mercato ittico di Bologna, Firenze, Roma, Torino e Chioggia  come riferito al Getapesca, appreso dalla stampa e in parte riportato negli allegati fotografici sotto riportati, il fenomeno si presenta reale e potenzialmente critico.
Nelle immagini sotto riportate si evidenziano esempi di pesci d’acqua dolce dichiarati come “pescati” distribuiti alla vendita al dettaglio con etichettatura non conforme, con nomi errati, omessi o non conformi.


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